La "limitatezza ottica" come distanza dall'io.
Una mostra del passato recente, di quelle che si imprimono indelebilmente nella memoria. Ferrara, Palazzo dei Diamanti, Courbet e la natura (a cura di Dominique de Font-Réaulx, Barbara Guidi, Maria Luisa Pacelli, Isolde Pludermacher, Vincent Pomarède).
L’arte di Gustave Courbet è intrinsecamente intrecciata alla Natura, tanto da plasmare la sua produzione artistica.
Courbet, uno dei pionieri del movimento del Realismo, ha trovato nella Natura una fonte inesauribile di ispirazione. Ha trascorso lunghi periodi immerso nella campagna, dipingendo paesaggi che catturavano la maestosità e l’autenticità della natura. Le sue opere mostrano una profonda connessione con gli elementi naturali: dalle montagne imponenti alle acque inquiete dei fiumi, Courbet ha saputo cogliere la bellezza e l’energia della natura in ogni dettaglio.
La pittura di Courbet si distingue per la sua veridicità e sincerità. Attraverso la sua pennellata vigorosa e audace, l’artista ha cercato di ritrarre la Natura nella sua forma più autentica. Non si è limitato a rappresentare paesaggi idilliaci, ma ha sfidato le convenzioni dell’epoca, dipingendo anche scene di lavoro e di vita rurale. Courbet ha spogliato la Natura della sua idealizzazione romantica, cercando di mostrare la realtà concreta e tangibile, mettendo in risalto la sua forza e vitalità.
Attraverso le opere di Courbet, possiamo cogliere l’amore e la passione dell’artista per la Natura. Ha trasmesso la sua visione della bellezza naturale con una maestria sorprendente, invitandoci ad apprezzare e rispettare l’ambiente che ci circonda. Courbet ci ha insegnato che la Natura è un tesoro da preservare e da cui trarre ispirazione, una fonte infinita di emozioni e meraviglia.
«Ricordo che un giorno, davanti al pendio di fronte al quale sorge la collina di Marcil, egli mi indicò un oggetto lontano e disse: "Guarda quell'oggetto che ho appena dipinto. Io non so cosa sia". Si trattava di una certa forma grigia che da quella distanza non potevo identificare, ma, gettando lo sguardo sulla tela, vidi che era un mucchio di fascine. "Io non ho bisogno di saperlo", replicò lui, "io dipingo quello che vedo senza comprendere di che cosa si tratti". Aggiunse poi, allontanandosi dalla tela: "Sì, è vero, sono fascine!"».
– Francis Wey
Rinaldo Censi | doppiozero